You are here

Il conflitto tra istinto e strategia è inerente alla progettazione della segnaletica. C’è poi la questione dell’imprevedibilità pianificata, conosciuta anche come ‘avventura’ o, più modernamente, come ‘l’esperienza’: si viaggia con in mente una destinazione, naturalmente, il cosiddetto ‘viaggio da A a B’; a volte, tuttavia, è piacevole combinare la meta con un percorso eccitante che consenta di scoprire luoghi interessanti lungo la strada. Chissà quali piaceri inaspettati ci possono essere in un negozio… 

Il defunto ergonomo Harm Zwaga dell’Università di Utrecht citava tre modi in cui la segnaletica aiuta il viaggiatore: 

  • raggiungere la propria destinazione
  • seguire un percorso specifico
  • esplorare l’ambiente circostante 

L’esperienza ha dimostrato che gran parte dei viaggiatori vuole raggiungere tutti e tre gli obiettivi contemporaneamente.
Nella maggior parte dei casi, la linea che separa le esigenze istintuali del momento e un programma pianificato in anticipo semplicemente non esiste. E quando esiste, è al massimo un confine piuttosto indistinto. Chi viaggia in aereo vuole fondamentalmente raggiungere l’uscita d’imbarco (destinazione), ma non prima di aver fatto il check-in, acquistato un quotidiano, aver bevuto un caffè e utilizzato la toilette (percorso). Girovagare in negozi interessanti lungo la strada è un’opportunità in più (esplorare l’ambiente circostante). 

Nonostante il passeggero voglia il maggior tempo possibile per fare shopping, egli vuole anche trovare il chiosco dei giornali, prendere il caffè, individuare la toilette e seguire il percorso più breve e veloce per arrivare alla sua uscita, preferibilmente senza interruzioni costanti che possono fargli perdere il volo. In molti aeroporti una serie ininterrotta di annunci risuona dagli altoparlanti del sistema di amplificazione, per esortare i passeggeri in ritardo a presentarsi immediatamente alla loro uscita altrimenti il loro bagaglio sarà scaricato dall’aereo. In altre parole, chi viaggia in aereo si trova intrappolato tra il desiderio di seguire i propri istinti naturali di rilassatezza e il bisogno di mettere a punto una strategia efficiente. 

68 siti di maggiore interesse, 99 chiese, 151 monumenti, 98 hotels
68 Major sights, 99 churcs, 151 palaces, 98 hotels

Facciamo un passo indietro nel tempo, in un’epoca in cui viaggiare era davvero un’avventura, un’epoca con poca segnaletica e nessun sistema GPS, quando il modo più veloce di spostarsi era a cavallo. (Sfortunatamente, i briganti che in quel periodo rendevano la vita pericolosa sono ritornati, a quanto pare, sotto forma di pirati che creano diversi problemi alle imbarcazioni che navigano a largo della costa della Somalia). 

I ‘segnali’ posizionati dentro e intorno alle città erano gli unici punti di orientamento per il viaggiatore. I primi erano rappresentati dai nomi delle strade che conducevano alle città, e questo risale al tempo dei Romani. Lungo la Via Appia e la Via Aurelia, per esempio, si iniziò a costruire secoli prima della nascita di Cristo. 

Le locande erette agli incroci e presso gli attraversamenti dei fiumi erano luoghi ideali per ottenere informazioni riguardo la strada. E il profilo della città all’orizzonte aiutava il viandante a identificare da lontano la propria destinazione, poiché la sagoma di ogni città era unica, grazie alle variazioni architettoniche di chiese, fortificazioni, castelli e degli altri grandi edifici. (Il riconoscimento del profilo delle città all’orizzonte rimane un metodo attendibile per i marinai, che si affidano anche ai segnali dei fari, ciascuno dei quali emette uno schema distintivo di segnali). Le strade terminavano alle porte della città, che spesso portavano i nomi della città da cui vi si arrivava – piuttosto utile, specialmente per coloro che viaggiavano nella direzione opposta. Le strade principali di una città iniziavano alle porte d’ingresso; esse erano spesso strade commerciali, che in molti casi prendevano il nome anche dalle città vicine (ad esempio ‘Corso Venezia’ a Verona, ‘Via Senese’ a Firenze, ‘Via Torino’ a Milano). Conosciute come ‘strade radiali’, si estendevano come una ragnatela attraverso il centro della città, dove il campanile di una chiesa o la torre del municipio, ergendosi molto più in alto degli altri edifici, potevano essere visti da lontano.
Anche punti di riferimento come fiumi, castelli, monasteri e chiese, questi ultimi costruiti spesso sulle cime delle colline, servivano da segnali. I fiumi che scorrevano attraverso le città dividevano le aree urbane in quartieri peculiari e spesso differenziati per ceto sociale, con nomi caratteristici: Trastevere (Roma), Southbank (Londra), Noord (Amsterdam), Rive Gauche (Parigi), Hudson (New York e New Jersey) e così via.

Questi punti di riferimento concreti, paragonabili alle informazioni fornite dai satelliti GPS odierni, includono: 

– vie e strade
– incroci e piazze
– fortificazioni (mura della città)
– fiumi e ponti
– edifici sulla cima delle colline
– punti più alti (torri) nei centri cittadini 

Tali riferimenti aiutavano i viaggiatori a stimare sia la distanza sia la direzione. Il campanile della chiesa è davanti o dietro di me? Mi sto allontanando o avvicinando alle porte della città? La differenza maggiore tra l’uso del sistema GPS e il viaggio nei tempi antichi è che i vecchi viandanti raccoglievano informazioni oralmente da una varietà di fonti, inclusi locandieri, bottegai, contadini e altri viaggiatori. Questi contatti fornivano informazioni non solo sulle condizioni delle strade (allagamenti, ponti crollati), ma, molto più importante, anche su potenziali pericoli (briganti, soldati) e su cosa si sarebbe trovato a nel luogo in cui si stava andando (corruzione, rivolte, occupazione militare). 

Persino i primissimi sentieri e vie formavano delle reti di comunicazione che collegavano paesi, città e nazioni tra di loro. Solitamente queste strade si basavano su caratteristiche geografiche: serpeggiando tra le vallate, oltre i valichi di montagna e lungo fiumi abbastanza profondi da essere guadati, le strade seguivano la traiettoria più corta possibile. Strade panoramiche e sentieri rustici come quelli che si trovano negli odierni parchi nazionali e riserve naturali erano inconcepibili: erano sia rischiosi sia poco pratici. Inoltre, solo i benestanti avevano abbastanza tempo libero per godersi tali piaceri. Le strade percorse da molti viaggiatori offrivano sicurezza numerica: maggiore protezione dai ladri (le merci costose spesso venivano trasportate in carovane scortate da guardie armate), insieme ad agevolazioni lungo il cammino. Dopotutto, la distanza che uomo e animale potevano percorrere senza fermarsi per cibo, acqua e riposo era limitata. 

Molto più tardi, e comunque ancora molti secoli fa, le mappe comparvero sulla scena. I primi esempi abbastanza piccoli da poter essere trasportati da un individuo erano destinati alle imbarcazioni che navigavano in alto mare, per tracciare rotte favorevoli tra porti commerciali e per aiutare gli esploratori in cerca di risorse di valore – tesori come oro, argento e spezie esotiche – o pensate per attendere i propri fortunati scopritori in aree remote del mondo. 

Mappe permanenti, alcune dipinte sui muri, altre intarsiate in pavimenti di marmo, adornavano le stanze di castelli, palazzi, municipi ed altri edifici importanti. Molte di esse erano create non per assistere i marinai in navigazione tra i flutti, ma per dimostrare il potere del governo sulle terre e territori che occupava. Altri primissimi esempi erano le mappe di proprietà, utilizzate per la registrazione dei terreni, e le mappe militari. 

I primi nomi registrati dati alle strade principali, solitamente costeggiate da file di alberi per creare ombra, possono essere rintracciati nell’antica Roma. Queste strade, costruite principalmente per scopi militari, erano usate dalle armate romane sia in viaggio verso i possedimenti territoriali dell’impero, conosciuti anche come ‘province’, sia di ritorno a Roma, dove marciavano invariabilmente attraverso la città in processione trionfale. Piuttosto degno di nota il fatto che questa consuetudine razionale non ha avuto seguito fino all’arrivo dell’automobile, che ha portato con sé la numerazione delle strade. Che ci crediate o meno, il sistema di numerazione stradale olandese è stato completato negli anni Sessanta! 

 

Photo Paul Mijksenaar

 

I primi cartelli a freccia (N.d.T. cartelli a forma di mano con indice puntato, tipici della tradizione anglosassone) sono apparsi agli incroci delle strade commerciali più trafficate probabilmente non prima del XIX secolo e raramente indicavano qualcosa di diverso dalla prossima grande città sulla strada. Successivamente arrivarono nelle città i cartelli con l’indicazione dei nomi delle strade, sebbene la numerazione delle case non sia stato uno sviluppo automatico di questa nuova consuetudine. Un’attività commerciale poteva fornire come indirizzo ‘piazza del mercato’, che era tutto ciò di cui si poteva aver bisogno. 

 

 

 

I cartelli e le mappe non appartengono ad un sistema unico e onnicomprensivo ideato per assistere i viaggiatori; questi riferimenti mostrano solo un esempio di collegamenti disponibili che un individuo può utilizzare per mettere insieme un itinerario personale per lo scopo a portata di mano: nobili motivi (pellegrinaggio), bramosia (conquista) o pura necessità (visite familiari, fuga, esilio, lavoro). L’enorme aumento di mobilità che riguarda la nostra vita quotidiana – all’inizio del XX secolo la maggior parte delle persone andava a lavoro semplicemente a piedi – sta portando alla luce l’inadeguatezza di una rete di collegamenti designata (vie, strade, viali). I viaggiatori di oggi vogliono il percorso più comodo e facile per raggiungere la loro meta, e lo vogliono immediatamente. Una descrizione dettagliata della direzione che ciò prende è di scarso interesse. Soltanto nel tempo libero (estremamente abbondante) sono meno preoccupati dalla destinazione finale e più pronti a considerare come rendere piacevole il percorso tra A e B in un certo periodo di tempo, coprendo una distanza conosciuta e fermandosi lungo la strada per un caffè e una crêpe! Indicazioni colorate lungo il percorso prescelto sono sufficienti per i loro bisogni. 

Il risultato è un aumento del numero di percorsi ‘limitanti’: verso una città, un’azienda, un parco o un edificio; verso una banchina del treno o verso l’uscita dell’aeroporto; verso il pronto soccorso; verso Monna Lisa al Louvre; e, finalmente, di nuovo verso l’uscita e il parcheggio. Tali percorsi non offrono alcuna visione interna dello schema dei collegamenti di base. 

La nostra dipendenza da percorsi predeterminati aumenta le probabilità di perder- ci (il GPS smette di funzionare e non c’è nessuna mappa in macchina), in parte perché siamo privi della capacità di rievocare una ‘mappa mentale’ di un’area che non gioca più il benché minimo ruolo nell’informazione fornita. Questo effetto è rafforzato dalle autostrade fiancheggiate sui due lati da chilometri infiniti di barriere acustiche e strade che attraversano gallerie dopo gallerie. (Lungo la strada che percorro ogni anno per arrivare in Italia, attraverso molte città svizzere senza vedere alcuna città neanche di sfuggita). Una risposta a questa situazione è stata la costruzione di strade sempre più specifiche, tra le quali le più conosciute sono le strade ad anello, strade per parcheggi e hotel. Aggiungete a questo il perfeziona- mento della designazione alfanumerica delle strade: in Europa c’è una distinzione tra autostrade nazionale (numeri con la A e la N) ed europee (numeri con la E), strade nazionali, strade locali e vie di città, ognuna con il proprio vasto sistema di norme che si riferiscono ad argomenti come la velocità massima (e minima) e il tipo di automobilista consentiti. 

Ciò che vediamo oggi negli edifici è una totale noncuranza della libertà potenziale di movimento del visitatore e nessuna possibilità di sviluppo di intuito spaziale. I vaghi riferimenti ad una destinazione, come ad esempio Hc.2.513, non costituiscono delle eccezioni. Esclusivamente gli interni ed i meglio informati possono anche solo iniziare a decifrare un cartello che potrebbe (o non potrebbe) indicare la strada per l’edificio H, ala C, 2° piano, corridoio 5, stanza 13. 

Non c’è da meravigliarsi se i sistemi di navigazione GPS, portatili o integrati, già così immensamente popolari, stiano continuando la loro impressionante avanzata. Immettiamo la destinazione, aggiungendo soste lungo la strada a nostro piacere, selezioniamo il percorso più rapido o breve e partiamo. Quando ci avviciniamo a un incrocio, sentiamo una voce umana che ci dice dove andare. La percezione di un consiglio personale è così forte che in breve ci sentiamo ‘legati’ a quella voce registrata che ci ordina di tornare indietro quando sbagliamo strada: urliamo stizziti a nostra volta, quasi senza renderci conto che la nostra reazione rimarrà inascoltata. Questo aspetto di legame sembra essere la ragione della preferenza degli uomini per una voce femminile nei loro GPS… 

C’è ovviamente una ragione per la forte attenzione sul bisogno di architettura e design urbano intuitivi, di architettura che fornisca ai visitatori informazioni istantanee: la posizione dell’ingresso all’edificio e una vista trasparente di tutti gli spazi interni e servizi disponibili. C’è anche un bisogno di progetti di espansione urbana disposta nello stesso modo gerarchico dei centri storici: una piazza centrale con chiesa e municipio, circondata dalle principali vie commerciali e dalle case dei cittadini più importanti e, in periferia, quartieri suddivisi per comunità, alcuni con centri commerciali locali, per ospitare la popolazione rimanente. L’Italia ha ancora centinaia di città con centri medievali autentici che possono essere esplorati senza mappe o cartelli; una contraddizione rispetto ai molti progetti di espansione del XIX e XX secolo che sembrano essere stati disegnati e disposti indiscriminatamente, e che sono più o meno interscambiabili. 

I designer di segnaletica che usano il termine wayfinding (N.d.T. letteralmente ‘trovare la strada’) desiderano sviluppare sistemi multifunzionali: vogliono un sistema con una rete sottostante di itinerari che possono essere usati in maniera ottimale, e ciò inizia dando all’utente una scelta fra il percorso più corto e quello più veloce e continua offrendo opzioni come il percorso più bello, il più tranquillo o il più interessante. Le selezioni disponibili includerebbero ogni genere di attrazioni lungo la strada, come ristoranti, bar e, naturalmente, toilette pulite e sicure. Ugualmente importante, tuttavia, è l’abilità del sistema di dare all’utente una visione interna della topografia dell’area. 

L’esempio più recente è la augmented reality, (N.d.T. letteralmente ‘realtà aumentata’), un sistema grazie al quale si può orientare la fotocamera del cellulare verso un edificio o una strada e si ricevono istantaneamente informazioni sul display: la posizione della fermata della metropolitana, completa dei numeri della linea, l’attuale mostra al museo, informazioni su una proprietà in vendita o in affitto. Ciò può essere ampliato con dati sulle strade: dove conducono e cosa offrono (direzione, destinazioni, luoghi d’interesse). I visitatori negli edifici possono usare il sistema per individuare una corsia di ospedale, un oggetto in un museo, uno stand di una fiera campionaria, tutto ciò rimanendo completamente consapevoli di ciò che li circonda. Gli utenti possono scegliere di seguire un percorso specifico o semplicemente di girovagare nell’area in questione. 

Durante tutto il viaggio, il viaggiatore di domani avrà a portata di mano una rete di percorsi disponibili e rilevanti, così come una selezione personale di destinazioni. Può seguire il suo istinto e i capricci del momento o seguire una strategia di viaggio ben delineata e pianificata, ma avrà anche la libertà illimitata di cambiare idea e piani in ogni momento. Il sistema che usa gli fornirà le ultime informazioni, costantemente aggiornate, che spaziano da osservazioni di carattere generale ai più specifici dettagli disponibili. 

Nuovi scenari per la navigazione assistita 

Come già descritto da Paul Mijksenaar, la tecnologia informatica e le sue applicazioni sembrano venirci in aiuto anche nel campo del design delle direzioni e delle istruzioni. Il successo conclamato di prodotti quali i navigatori satellitari ne è un chiaro esempio, ma non è che l’inizio di una possibile rivoluzione. 

Il paesaggio naturale o poco antropizzato, come detto, presenta molte diversità dai moderni paesaggi urbani, caratterizzati da strutture difficilmente decifrabili (pensiamo ai labirinti dei centri commerciali con i loro livelli, mezzi livelli, scale mobili, parcheggi ecc…) e disturbati a livello sensoriale, visivo, auditivo, ma anche tipicamente fisico (affollamento). La soluzione ‘satellitare’ e quindi tecnologica, basata sul semplice inserimento di una destinazione attraverso lo schermo di un piccolo dispositivo, assiste il viaggiatore moderno attraverso la rete stradale sino alla soglia di questi ‘templi della confusione’ dove egli comunque si deve ancora affidare ai tradizionali sistemi di segnaletica (nel nostro paese, mi sia concesso, spesso migliorabili). Infatti l’esile segnale radio che dal satellite permette al nostro navigatore di identificare la sua posizione viene bloccato da pochi centimetri di soffitto; questo limite tecnico rappresenta un’opportunità per l’introduzione di nuovi sistemi di localizzazione e navigazione. 

Al di là di futuribili e poco implementabili concept di cellulari intelligenti che riconoscono luoghi ed edifici (comunque dallo straordinario valore visionario e di ispirazione) non esiste un vero strumento per la navigazione cosiddetta indoor. Come nel caso del GPS comunque, un sistema tecnologico, una sorta di navigatore personale che ci accompagni alla scoperta di questi luoghi, sarebbe complementare ad un sistema di segnaletica tradizionale migliorandone alcuni aspetti cruciali. In primo luogo sarebbe flessibile, incontrando le esigenze di continuo mutamento tipiche di questo contesto (si pensi alla continua riallocazione degli spazi in un ospedale o in un grande corporate building). Inoltre potrebbe azzerare le barriere culturali (soprattutto linguistiche) della variegata società contemporanea. Dove il cartello è un elemento statico, scritto in una o al massimo due lingue, con elementi grafici e simboli non riconosciuti da ogni cultura, un dispositivo intelligente si farebbe trait d’union ed interfaccia tra il messaggio e diversi soggetti riceventi. Messaggio, che potrebbe diventare multisensoriale (video, audio, tattile) e quindi anche arricchire l’esperienza della navigazione. 

La tecnologia (e soprattutto la tecnologia informatica), che applicata al campo della navigazione assistita in prima istanza potrebbe sembrare prescrittiva, categorica ed autoritaria perché per sua natura funzionale e (spesso…) funzionante, si dimostra quindi un valido ed utile strumento in quanto flessibile ed adattabile a diversi contesti e bisogni. Inoltre la possibilità di affidarsi ad un sistema di navigazione sicuro ed affidabile libera l’individuo dall’ansia di perdersi e in questo modo stimola anche l’esplorazione l’iniziativa. 

La sfida di applicare tali paradigmi a nuovi contesti, come per l’appunto grandi spazi non raggiunti dall’attuale tecnologia, è quanto da me intrapreso (con il supporto dello studio Mijksenaar) nel progetto Mercator.
L’obiettivo di tale impegno è quello di riuscire a sviluppare un sistema di navigazione per interni applicando i principi del wayfinding e i vantaggi sopracitati di uno strumento ‘intelligente’. Chiaramente il grande passo è quello di creare una struttura (o meglio un’infrastruttura), una piattaforma (come i satelliti per il GPS), su cui costruire il sistema. Il dilagare di dispositivi mobili dalle funzionalità sempre più ricche sembra però un incoraggiamento in questo senso, poiché essi consegnano già buona parte della tecnologia nelle nostre mani liberando l’infrastruttura da costosi investimenti. 

Infine, orientare con successo il viaggiatore non solo nello spazio reale ma anche attraverso lo spazio virtuale delimitato da mille finestre, pulsanti e touch screens, rappresenta un ulteriore imperativo nella progettazione, ma il solo tema come noto richiederebbe troppo tempo per essere qui trattato. 

Traduzione a cura di Giorgio Goi information designer presso Mijksenaar, Amsterdam.


[english]

The conflict between instinct and strategy is inherent to the design of signage. And then there’s the matter of planned unpredictability, also known as ‘adventure’ or, more contemporarily, as ‘the experience’. We travel with a destination in mind, of course: the so-called ‘trip from A to B’. Sometimes, though, it’s nice to combine the end point with an exciting route that allows for the discovery of interesting spots along the way. Who knows what unexpected pleasures may lie in store . . . 

The late University of Utrecht ergonomist Harm Zwaga cited three ways in which signage helps the traveller: 

– To reach his destination
– To follow a specific route
– To explore an environment 

Experience has shown that a good many travellers want to achieve all three goals at once. In most cases, the line that separates the instinctual demands of the moment and a programme planned in advance simply does not exist. And when it does, it’s a badly blurred boundary at best. An airline passenger ultimately wants to reach the gate (destination), but not before checking in, buying a newspaper, having a cup of coffee and using the toilet (route). Browsing in interesting shops along the way adds to the occasion (exploring the environment). 

Although he wants as much shopping time as possible, he’s also keen to find the newsstand, to grab that coffee, to locate the toilets and to take the fastest, shortest route to his gate, preferably without constant interruptions that might make him miss his flight. At many airports, a barrage of announcements blares from the PA system, urging tardy passengers to report to the gate immediately or their baggage will be off-loaded from the aircraft. In other words, the air traveller finds himself trapped between a desire to follow his natural laid-back instincts and the need to map out an efficient strategy. Let’s take a step back in time – to an age in which travel really was an adventure, an age with few signs and no GPS systems, when the fastest way to get around was by horse. (Unfortunately, the highwaymen that made life dangerous in those days have returned, it seems, in the form of pirates who make life miserable for ships sailing off the Somali coast.) 

‘Beacons’ positioned in and around cities were the traveller’s only points of orientation. The first were the names of roads leading to cities, and these date back to Roman times. Building began on the Via Appia and the Via Aurelia, for example, centuries before the birth of Christ.
Inns erected at crossroads and river crossings were good places to get information about the route. And the skyline of a city in the distance helped the wayfarer to identify his destination, since each city’s silhouette was unique, thanks to variations in the architecture of churches, forts, castles and other large buildings. (The recognition of city skylines remains a trusted means of navigation for mariners, who also rely on signals from lighthouses, each of which emits a distinctive pattern of beams.)
Roads ended at the city gates, which were often named for the town from which the person arriving had come – quite convenient, especially for those travelling in the opposite direction. The main streets of a city began at the entrance gates. These were frequently shopping streets, which in many cases were also named for nearby cities (e.g. ‘Corso Venezia’ in Verona, ‘Via Senese’ in Florence, ‘Via Torino’ in Milan), Known as ‘radial streets’, they spread like a cobweb towards the centre of town, where the tower of a church or city hall, rising high above all other buildings, could be seen from afar. Landmarks such as rivers, castles, monasteries and churches – often built on hilltops – also served as beacons. Rivers flowing through cities divided urban areas into distinctive, often socially differentiated neighbourhoods with characteristic names: Trastevere (Rome), Southbank (London), Noord (Amsterdam), Rive Gauche (Paris), Hudson (New York and New Jersey) and so forth.
These physical reference points, comparable to information provided by today’s GPS satellites, included: 

– Roads and streets
– Intersections and squares
– Fortifications (city walls)
– Rivers and bridges
– Buildings on hilltops
– Highest points (towers) in city centres 

Such references helped travellers to estimate both distance and direction. Is the church tower in front of or behind me? Am I moving away from or towards the city gates? The main difference between the use of a GPS system and travel in ancient times is that early wayfarers gathered information orally, from a variety of sources, including innkeepers, shopkeepers, farmers and other travellers. Not only did these contacts pass on information about road conditions (flooding, collapsed bridges) but, even more important, about potential dangers (highwaymen, soldiers) and the situation at the final destination (corruption, riots, military occupation). 

Even the very first paths and roads formed networks that connected villages, towns and countries with one another. Usually, these routes were based on geographical features. Meandering through valleys, over mountain passes and along rivers shallow enough to wade across, roads followed the shortest trajectory possible. Scenic routes and rustic paths of the type found in today’s national parks and nature reserves were inconceivable: they were both risky and impractical. Besides, only the wealthy had enough ‘free time’ to enjoy such pleasures. Roads shared by many travellers offered safety in numbers: better protection against robbers (expensive goods were often transported in convoys accompanied by armed guards), combined with facilities along the way. After all, the distance that man and beast could travel without stopping for food, water and rest was limited.

Much later – although still many hundreds of years ago – maps appeared on the scene. The first examples that were small enough for one person to carry were intended for vessels sailing the high seas, for charting favourable routes between ports of trade, and for aiding explorers in search of valuable resources – treasures like gold, silver and exotic spices – thought to await their fortunate discoverers in remote areas of the world. Permanent maps – some painted on walls, others inlaid in marble floors – adorned the rooms of castles, palaces, city halls and other important buildings. Most of these were created not to assist sailors in navigating the waves but to demonstrate a government’s power over the lands and territories it occupied. Other early examples were property maps, used in land registration, and military maps. 

The first recorded names given to major roads, usually lined with trees to provide shade, can be traced to ancient Rome. These roads, built primarily for military purposes, were used by Roman armies heading either to the empire’s territorial possessions – also know as ‘provinces’ – or back to Rome, where they invariably marched through the city in triumphal processions. Remarkably enough, this rational practice had no follow-up until the arrival of the car, which brought with it the numbering of roads. Believe it or not, the Dutch road-numbering system was not completed until the 1960s!

It was probably not until the 19th century that the first ‘pointing finger’ signs appeared at the crossroads of well-travelled trade routes, rarely marked with anything other than a reference to the next large town on the route. What followed were signs in cities that indicated street names, although house numbers were not an automatic spin-off  of this new custom. A business might give its address as ‘market square’, which was all anyone needed to know.
Signs and maps did not belong to one, all-encompassing system devised for aiding travellers. These references showed only a pattern of available connections, which an individual could use to piece together a personal itinerary for the purpose at hand: noble motive (pilgrimage), greed (conquest) or pure necessity (family visit, escape, exile, trade). The enormous increase in mobility that is affecting our daily lives – at the beginning of the 20th century, most people simply walked to work – has revealed the inadequacy of a designated network of connections (roads, streets, alleys). Today’s travellers want the fastest, most comfortable route to their destination, and they want it immediately. A detailed description of the course it takes is of little interest. Only in their – extremely abundant – leisure time are they less concerned about the final destination and more prepared to consider how to enjoy the route from A to B within a certain period of time, covering a known distance and stopping along the way for a cup of coffee and a pancake! Coloured markers along the chosen route are sufficient for their needs. 

The result is an increase in the number of ‘restrictive’ routes: to a city, business park or building; to a train platform or an airport gate; to the hospital emergency room; to the Mona Lisa in the Louvre; and, finally, back to the exit and car park. Such routes provide no insight into the underlying pattern of connections. 

Our dependence on predetermined routes increases our chances of getting lost (the GPS stops working, and there’s no map in the car), in part because we lack the ability to recall a ‘mental map’ of an area that no longer plays even a minor role in the information provided. This effect is reinforced by motorways flanked on both sides by endless kilometres of sound barriers and roads that pass through tunnel after tunnel. (On the route I take every year to Italy, I drive through many Swiss cities without catching the slightest glimpse of the town itself.) One response to this situation has been the construction of more and more specific routes, the most well known being ring roads, parking routes and hotel routes. Add to this the refinement of the alphanumeric designation of roads: in Europe, there is a distinction between European (E numbers) and national motorways (A and N numbers), national roads, local roads and city routes, each with its own extensive system of rules pertaining to matters such as maximum (and minimum) speed and type of road user permitted. 

What we see in buildings today is a complete disregard for the visitor’s potential freedom of movement and no opportunity for the development of spatial insight. Vague references to a destination – Hc.2.513, for instance – are no exception. Only insiders and savants can even begin to decipher a sign that may (or may not) point the way to Building H, Wing C, 2nd floor, Corridor 5, Room 13. 

No wonder that hand-held and in-dash GPS navigation systems, already so immensely popular, are continuing their impressive advance. We key in the final destination – adding stops along the way as desired – select the fastest or shortest route, and drive away. As we approach an intersection, we hear a human voice tell us which way to go. The perception of personal advice is so strong that we soon ‘bond’ with the canned voice that instructs us to turn around when we’ve gone the wrong way – we shout back in anger, almost without realizing that our reaction goes unheard. This bonding aspect seems to be behind a man’s preference for a female voice on his GPS . . . 

There’s clearly a reason for the strong focus on a need for intuitive architecture and urban design – for architecture that provides visitors with instant information: the location of the entrance to the building and a transparent view of all available interior spaces and facilities. There’s also a need for urban-expansion projects laid out in much the same hierarchical way as the historical town centre: a central square with church and city hall, surrounded by the main shopping streets and the homes of prominent citizens and, on the periphery, guild-related neighbourhoods, some with local marketplaces, to house the remaining population. Italy still has hundreds of cities with authentic medieval centres that can be explored without maps or signs. What a contradiction to the many 19th- and 20th-century expansion projects that seem to have been designed and laid out indiscriminately, and that are more or less interchangeable. 

Signage designers that use the term ‘wayfinding’ are keen to develop multifunctional systems. They want a system with an underlying network of routes that can be used optimally – that starts by giving the user a choice between the shortest and fastest route and continues by offering options such as the prettiest, most peaceful or most interesting route. The available selections would include all sorts of attractions along the way, as well as restaurants, cafés and, of course, safe, clean toilets. Equally important, however, is the system’s ability to give the user an insight into the topography of the area. 

The most recent example is ‘augmented reality’, a system that lets you aim the camera in your mobile phone at a building or street and receive instant feedback on your display: the location of a metro station, complete with line numbers; the current museum exhibition; information on a property for sale or for rent. This can be expanded with data on streets: where they go and what they offer (direction, destinations, points of interest). Visitors inside buildings can use the system to locate a hospital ward, an object in a museum, a trade-fair stand, all the while remaining completely aware of their surroundings. Users can opt to follow a specific route or simply to wander around the area in question. 

Throughout his entire trip, the traveller of tomorrow will have at his fingertips a network of available and relevant routes, as well as a personal selection of destinations. He can go with his instincts and moment-to-moment whims or follow a well-mapped-out travel strategy – but he will also have unlimited freedom to change his mind and his plans at any time. The system he uses will provide him with the latest information, updated constantly, ranging from generalities to the most specific details available. 

New scenarios for assisted navigation 

As Paul Mijksenaar has already said, informatics and its applications also seem to be helping us to design routing systems. The obvious success of products like satellite navigation systems is a good example, but it is only the beginning of a possible revolution. Natural landscapes, or those man has not populated, have little in common with modern urban landscapes, characterised by structures which are difficult to decipher (for example, shopping malls with their levels, half-levels, escalators, car parks etc…) and disturbing on a sensorial, visual, auditive level, but also typically physical (crowding). The ‘satellite’ and thus technological – solution, based on the simple insertion of a destination by means of the screen on a small device, assists the modern traveller along the roads leading up to these ‘temples of confusion’ where, in any case, he still has to rely on traditional sign systems (which could be better, in our country, I might add ). The weak radio signal from the satellite which allows our navigator to identify his position cannot get through a few centimetres of ceiling. This technical limit is an opportunity for us to introduce new systems of localization and navigation. 

Apart from future, difficult to implement concepts concerning intelligent cell phones which recognise places and buildings (of extraordinary visionary value and inspiration) a real instrument for so-called indoor navigation does not exist. As in the case of GPS, a technological system, a sort of personal navigator which accompanies us in the discovery of these places, would complement a traditional signage set-up, improving certain of its crucial features. In the first place, it would be flexible, meeting the need for continuous alteration typical of this context (consider the continuous relocation of spaces in a hospital or a great corporate building). Besides this, it could eliminate cultural barriers (above all linguistic ones) in our variegated contemporary society. Where the sign is a static element, written in one or two languages at most, with graphic elements and symbols which are not recognised by other cultures, an intelligent device would be a trait d’union and an interface between the message and the receiver. A message which could become multisensorial (video, audio, tactile) and thus also enrich the experience of the navigation. 

Technology (and above all informatics) applied to the field of assisted navigation might at first seem prescriptive, categoric and authoritarian but because of its functional and (often…) functioning nature, it turns out to be a valid and useful instrument in that it is flexible and adapts to different contexts and needs. Furthermore, being able to trust a system of safe, reliable navigation removes the anxiety of getting lost and stimulates the exploration too. 

Applying such paradigms to new contexts, like large spaces where current technology has not yet arrived, is the challenge I am facing (with the support of the Mijksenaar studio) in the Maercator project. The objective of this commitment is that of developing a navigation system for interiors by applying the principles of wayfinding and the above-mentioned advantages of an ‘intelligent’ instrument. Clearly, the biggest step is to create a structure (or rather an infrastructure), a platform (like GPS satellites) on which to construct the system. But the spread of mobile devices with increasingly more sophisticated functions seems to be encouraging in this sense, because they already deliver most of the technology directly, freeing the infrastructure of costly investments. Finally, routing the traveller successfully and not only in real space but also through virtual space delimited by hundreds of windows, buttons and touch screens, is a further imperative in planning but the theme, clearly, would require too much time to be discussed here.

Curated by Giorgio Goi  information designer at Mijksenaar, Amsterdam.

 

(Tratto da/from: NB. I linguaggi della comunicazione, Istinto e strategia, N.1, ANNO II, Logo Fausto Lupetti, Milano 2010.)