Paesaggi del consumo
Consumption landscape

Il titolo, forse un po’ ambizioso, del mio intervento introduce subito il concetto di strutture razionalizzate nel contesto di una globalizzazione che, collegandomi alle teorie di Zygmunt Baumann, oserei definire “globalizzazione liquida”. La mia attenzione si è concentrata soprattutto sulle cattedrali del consumo e, quindi, sui paesaggi del consumo che si sviluppano principalmente a livello urbano. Parlando di strutture razionalizzate, o “McDonaldizzate”, il pensiero va immediatamente alle opere di Max weber e alla sua teoria della razionalizzazione secondo la quale la burocrazia rappresenta il paradigma dell’intero processo di razionalizzazione. Dal mio punto di vista, negli Stati Uniti e nel mondo globale del XXI secolo, i casi più emblematici di questa tendenza sono rappresentati proprio dai ristoranti fast food. La catena McDonald’s è stata antesignana del fenomeno e, in ragione di questo, adotto spesso il termine “McDonaldizzazione” per indicare questo processo sistematico di razionalizzazione. Il processo di McDonaldizzazione non riguarda solo il cibo anche se, ovviamente, quest’ultimo è assolutamente McDonaldizzato. Il concetto di McDonaldizzazione della società si riferisce soprattutto alle ripercussioni che simili forme di organizzazione comportano sulle comunità di tutto il mondo. I principi su cui si regge il ristorante fast food dominano sempre più interi settori della società americana: non solo l’alimentazione, ma anche l’istruzione, la sanità. Si tratta di un processo che si è diffuso anche al di là dei confini americani: oggi McDonald’s è una corporation globale e molta della sua redditività deriva dalle attività aperte fuori dagli Stati Uniti. 

Quali sono i principi alla base della McDonaldizzazione? L’efficienza (scegliere i mezzi migliori per ottimizzare il raggiungimento degli obiettivi e velocizzare i processi), la quantificazione (enfatizzare la quantità anziché la qualità), la prevedibilità (governare, anche con mezzi tecnologici, ogni processo) e, infine, la razionalità (programmare sistematicamente ogni dettaglio). 

 

Il primo McDonald’s, nel 1948

L’efficienza comporta l’eliminazione di alcune fasi in modo da poter accelerare i processi. Probabilmente il miglior esempio è proprio il servizio pensato da McDonald’s per gli automobilisti: senza dover scendere dalla macchina si ordina, si ritira il cibo dallo sportello ad altezza conducente e lo si consuma direttamente nell’abitacolo della vettura. Un altro aspetto legato all’efficienza è la semplificazione del prodotto: McDonald’s si è specializzata nel fingerfood, ovvero nel cibo che può essere mangiato con le mani, senza usare forchetta e coltello. Sempre in ragione dell’efficienza, nel mondo McDonaldizzato, sono i clienti stessi a svolgere il lavoro che prima era riservato ai dipendenti. Il prosumer è colui che riunisce in sé le azioni della produzione e del consumo. Nel web 2.0 il prodotto è in parte creato da coloro che poi sono chiamati a consumarlo: in luoghi virtuali come Facebook, wikipedia o nei veri e propri blog, a produrre i contenuti sono gli stessi consumatori-fruitori. Con il fenomeno del prosumer, di fatto, si mette il cliente al lavoro! 

L’enfasi sulla quantità piuttosto che sulla qualità è espressa, ad esempio, dallo slogan impiegato per molto tempo da McDonald’s: novantanove miliardi di hamburger venduti l’anno. Anche la produzione e il servizio si riducono a fenomeni quantificabili: non interessa la qualità del processo produttivo o del servizio, ma la velocità con cui si può produrre un prodotto o fornire un servizio. 

Altro aspetto fondamentale è allestire delle ambientazioni prevedibili e, più specificatamente, capaci di promuovere relazioni e interazioni come da copione. Anche il comportamento dei dipendenti deve essere il più prevedibile possibile: la falsa cortesia è purtroppo una nota costante. Nelle sue “università dell’hamburger” McDonald’s forma i manager e gli assistenti che gestiranno i punti vendita e istruiranno gli altri dipendenti sui comportamenti da tenere, rendendo perfettamente omogeneo e standard ogni atteggiamento. 

Il quarto principio, quello del controllo razionale, va nella direzione di un modello di dipendente, letteralmente, non umano: l’obiettivo finale, in un ristorante fast food, è la sostituzione degli attuali “uomini robot” con veri e propri robot meccanici. Allo stesso modo, si tenta di controllare anche il cliente che – paradossalmente – non è poi così tanto il benvenuto da McDonald’s: il cliente ideale è quello che non entra ma se ne sta in auto, passa dallo sportello e si fa lanciare il cibo in grembo, per poi pagare e andare a mangiare altrove. 

Questo genere di razionalizzazione produce irrazionalità. Paradossalmente ciò che dovrebbe essere efficiente, in realtà, si dimostra inefficiente.
Ad esempio, lo sportello McDonald’s per gli automobilisti ha avuto talmente successo che spesso, all’ora di pranzo, si formano lunghe code di automobili: ecco allora che una soluzione pensata per ottimizzare al massimo l’efficienza si rivela, di fatto, inefficiente. Secondo Weber la razionalizzazione del mondo conduce inevitabilmente al disincanto, rimuove la magia dal mondo. E questo è esattamente il risultato prodotto dai diversi sistemi McDonaldizzati: tolgono fascino alle cose. Nel Magic Kingdom di Disneyworld non c’è assolutamente nulla di magico: tutto è inumano e perfettamente razionalizzato. 

Senza dimenticare il processo globale di omologazione: nel mondo esistono trentuno mila negozi di McDonald’s e tutti funzionano nella stessa maniera. Sebbene alcuni prodotti siano rivisitati rispetto al gusto locale, tutto è venduto secondo gli stessi principi, nel rispetto di processi prevedibili e uniformi. 

La globalizzazione liquida comporta crescenti flussi multidirezionali: non soltanto di persone, ma anche di informazioni, prodotti e servizi. Esistono barriere che possono ostacolare i flussi – come ad esempio il confine controllato tra Messico e Stati Uniti che dovrebbe impedire il passaggio di immigranti clandestini – e strutture – come l’Unione Europea – che invece gli accelerano e gli promuovono. Partendo da questa definizione di globalizzazione, vorrei affrontare il tema di quelle che definisco le “cattedrali del consumo”: luoghi come gli alberghi dei casinò di Las Vegas, come Disneyworld e gli altri parchi tematici, come le navi da crociera e, naturalmente, come gli shopping mall. Le cattedrali del consumo nascono sostanzialmente come fenomeno americano nel dopoguerra, nel momento storico in cui gli Stati Uniti passano dall’essere i primi al mondo nella produzione all’essere i primi al mondo nei consumi. Oggi la maggior parte degli ipermercati si trova in Cina e questo la dice lunga sul grande processo di globalizzazione che nel tempo ha interessato le cattedrali del consumo. gran parte di queste realtà si è sviluppata inizialmente in seno ai piccoli centri urbani: la catena wall Mart, ad esempio, ha avuto origine nelle cittadine statunitensi per poi diffondersi successivamente nelle zone periferiche nelle grandi città, fino ad arrivare a conquistarne i quartieri più centrali. La città di New York, dove sono nato e cresciuto, ha rifiutato per anni la presenza di simili cattedrali del consumo, ma ormai ne è dominata. Da qui, l’omologazione dello spazio urbano. A causa della McDonaldizzazione e della diffusione delle cattedrali del consumo, gli spazi urbani sono sempre più uniformi e le città sembrano sempre più simili alle proprie periferie. Proprio perché viviamo in un mondo liquido, le cattedrali del consumo e le altre strutture McDonaldizzate possono superare i confini e presentarsi qua e là per il mondo, con grande facilità. Tuttavia, per definizione, i fenomeni “liquidi” non riescono a mantenere per molto tempo la propria forma: non possiedono né una spazialità né una temporalità fissa e proprio perché si muovono costantemente è pressoché impossibile arrestarne l’espansione. 

Esiste forse una contraddizione tra la modernità liquida e le cattedrali del consumo? Come si concilia la liquidità della globalizzazione con la solida rigidità delle cattedrali del consumo? Le cattedrali del consumo sono ormai diffuse in qualunque paesaggio. In Italia, la zona attorno alla piazza del Duomo di Milano rappresenta a mio avviso un esempio molto interessante di paesaggio del consumo. Il Duomo è una cattedrale in senso proprio che tuttavia presenta, per certi versi, le stesse caratteristiche delle attuali cattedrali del consumo: è grande, imponente e fa colpo su chi vi entra. Questo edificio religioso appartiene al XIII secolo, la Galleria Vittorio Emanuele II risale al XVIII secolo, mentre la Rinascente è stata costruita nel XIX secolo. Sebbene appartengano a epoche storiche diverse, sono tutte cattedrali del consumo: la prima ad uso dello spirito, le ultime due ad uso del commercio. Vicino alla Rinascente c’è un Burger King; dalla parte opposta della piazza è situato il McDonald’s e poi, all’interno della Galleria, ecco un altro McDonald’s. Così in quest’area del centro storico di Milano si configura un unico paesaggio del consumo. La città viene sempre più immaginata da forze globali: la zona attorno al Duomo di Milano, per esempio, viene immaginata dai dirigenti della McDonald’s in Illinois che tentano di individuare le strategie migliori per massimizzare la redditività nel capoluogo lombardo. Abitiamo sempre più paesaggi del consumo e la città è dominata dal nulla. Contro il nulla ha potere soltanto ciò che è ricco di contenuti locali. Ma anche se volessimo essere dei poeti nella città, la nostra poesia sarebbe comunque vincolata al contesto di un’ambientazione ostile all’imprevedibile. Tuttavia, anche se nello scenario urbano aumentano le isole dei morti viventi – ovvero gli spazi inumani prodotti dalla McDonaldizzazione e dalle cattedrali di consumo – è fondamentale continuare a difendere tutti i luoghi non razionalizzati, i soli capaci di dare dignità al concetto di cittadinanza. 


[english]

In my opinion, the most emblematic examples of the process of rationalization, in the United States and the global world of the XXI century, are the fast food restaurants. McDonald’s is the forerunner of this phenomenon and, because of this, I have often used the term “McDonaldization”. (…) Due to McDonaldization and the spread of chains which are cathedrals of consumerism, urban spaces all look the same and cities look more and more like their suburbs. 

And because we live in a world whose borders are in continuous flux, these icons of McDonaldization can easily reach anywhere around the planet.
However, anything in a liquid state cannot maintain its shape for very long. 

Without limits of space or time it is able to move easily and constantly, and it can’t be stopped from expanding. Is there a contradiction between this concept of globalization and the cathedrals of consumerism? How can we reconcile the fluidity of globalization with the solid rigidity of the actual structures? They are everywhere now. In Italy, the area around the Piazza del Duomo in Milan represents, for me, a most interesting example of the consumer landscape. 

The Duomo is a cathedral in the strict sense of the term and yet it has, in some ways, the same characteristics as the cathedrals of consumerism: it is big, imposing and impresses all who enter. 

The Duomo belongs to the XIII century, the Galleria Vittorio Emanuele II to the XVIII century, while the “Rinascente” (large department store) was built in the XIX century: although they belong to different historical periods, they are all cathedrals of consumerism, be it spiritual or commercial. 

There is a Burger King near Rinascente, and across the piazza is a McDonald’s, while another McDonald’s is located in the Galleria: the historic town centre is a visual premonition of a consumer landscape. Cities are increasingly designed by global forces: the area around the Duomo of Milan, for example, is examined by McDonald executives in Illinois with an eye to creating the best strategies for maximum profit in the Lombard capital. 

More and more we live in landscapes of consumerism and our cities lose their identity.
Against this void only that which is rich in local content can be of any value. But even if we wanted to be the poets of our cities, our poetry would still be restricted by an environment hostile to the unpredictable. 

However, if the islands of living dead, those dehumanized spaces created by McDonaldization and filled with cathedrals of consumerism, keep on growing in our cities, we must absolutely continue to defend all those places which give dignity to our national identity. 

 

(Tratto da/from: NB. I linguaggi della comunicazione, Foreste urbane, N.3, Anno IV, Logo Fausto Lupetti Editore, Milano 2012)