Il mondo a colori

In principio era la luce. 

“Dio disse “sia la luce” e la luce fu. Dio vide che la luce era buona e separò la luce dalle tenebre” (1).  Per molti secoli si è ritenuto che la luce fosse altro rispetto ai colori e dunque si erano considerati indipendenti. Ma dopo gli studi di Isaac Newton (1642-1727) luce e colori diventano specificazioni di una stessa realtà. così scrive il fisico del Seicento: “I filosofi ritengono che i colori nascano o da una differente mescolanza dell’ombra con la luce, o da un ruotare di sfere o da vibrazioni di un determinato mezzo etereo… tutte queste asserzioni contengono un errore comune, cioè quello secondo il quale la modificazione della luce che produce i colori non le sia propria dall’origine, ma sia acquistata nella riflessione o rifrazione… Io ho trovato, al contrario, che è una proprietà innata della luce… e non può essere distrutta né mutata in alcun modo… come i raggi luminosi si differenziano nel grado di rifrangibilità, così si differenziano nella tendenza a mostrare questo o quel colore… allo stesso grado di rifrangibilità è associato sempre lo stesso colore e viceversa.” (2)

In quel “Fiat Lux” è dunque implicita la creazione dei colori che, come afferma Newton, sono costituenti dei raggi luminosi e si evidenziano quando la luce si riflette o si rifrange. Per questo non è possibile parlare di colori senza parlare della luce e di quell’antagonismo luce-tenebre che ha rappresentato uno dei temi più inquietanti della storia dell’uomo. A dimostrarlo, basterebbe ricordare che luce e tenebre sono diventate metafore di bene e di male. 

È proprio attraverso l’analisi del colore bianco della luce che Newton ha sviluppato la sua teoria sul colore: “La composizione più interessante e sorprendente è quella che produce il bianco. Non esiste alcun tipo di raggio che da solo lo posa mostrare. Esso è sempre composto e per la sua composizione sono richiesti tutti i colori”. (3) 

Il fascino dell’arcobaleno è dovuto alla gamma di colori che lo costituiscono, ma allo stesso tempo anche alla sua forma geometrica: un arco a tutto sesto, perfetto. Vi si deve aggiungere il mistero, che può essere raccontato in termini favolistici, ma anche mediante le difficili leggi della rifrazione della luce nell’atmosfera. ricordo ancora, ero bambino, il desiderio di raggiungere il punto in cui l’arcobaleno sembrava nascere e dove la favola raccontava esserci un secchio di pepite d’oro. Nonostante l’età non si è modificato il suo fascino e mi meraviglia, anche solo il ricordarla, l’esperienza di qualche anno fa in scozia quando in un cielo, appena bombardato da un temporale, ne ho potuti osservare contemporaneamente tre. È questa forse una delle scenografie più straordinarie che non ho mai visto nemmeno a teatro realizzata dai coreografi per il Shéhérazade di Ravel. 

È sempre Newton a spogliare l’arcobaleno sia dei suoi significati mitologici che estetici, poiché lo riduce ad un fenomeno di rifrangibilità della luce attraverso le gocce sospese di pioggia. Il fascio di luce si divide nei raggi che hanno un diverso grado di rifrangibilità ed un colore differente che va dal rosso scarlatto al viola. 

John Baldessari, Common Memory Colors: Flesh, White, Grey, Black, Sky, Grass, Sand. 1976.

Il mondo fuori e dentro di me.

Colorata è la percezione del mondo “fuori di me” e sarebbe drammatico immaginarlo in bianco e nero, mi richiamerebbe alla morte che è priva di colore. 

Il mondo “dentro di me” lo percepisco invece monocromo, scuro e forse per questo mi appare triste, nonostante tutte le scoperte scientifiche che hanno descritto gli organi interni e, attraverso le psicologie, la mente. 

Mi sono soffermato a lungo sul cervello, ho osservato le circonvoluzioni degli emisferi, sono entrato persino negli acquedotti e nei ventricoli, ho sezionato il lobo frontale, e sempre in mezzo al grigiore. a fatica si distingueva il bianco della mielina dal grigio dei neuroni. 

Amo il colore e la sola fantasia che il mondo “fuori di me” venga coperto da un telo nero, mi richiama un catafalco che si innalza in una cattedrale per ospitare un morto.
Mi piacerebbe colorare il mondo “dentro di me” e usare la immaginazione di un bambino e la sua attrazione per i colori puri: il mio cuore tutto rosso, i polmoni azzurri come le acque di un mare assolato, il fegato di un blu cupo che ricordi la stabilità di un filtro che deve separare le sostanze buone da quelle tossiche, il buono dal cattivo, il bene dal male. Vorrei che i miei reni fossero gialli e gli ureteri, che giungono nella vescica, trasparenti come i tubi che distillano l’essenza della vita. Il cervello lo vorrei ad arcobaleno, imprevedibile ma pieno di fascino, capace di mutare con i sentimenti. un colore per la paura e per la gioia, per la preoccupazione e la serenità. Il sangue dovrebbe essere verde, come l’erba di un prato coltivati al Kensington garden. 

 

Fulvio Caldarelli, Sans titre, 1993. Acrylic sur toile, denim bleu-ciel.

Il colore dei sentimenti. 

“Enrico di Wurtenberg passa davanti al duca di Borgogna con tutto il suo seguito vestito di giallo e “fut le duc adverty que c’estoi contre luy”. Cosi l’azzurro e il verde sono i colori dell’amore e il verde in particolare quello dell’amore giovane e pieno di speranza: “Il te foudra de vert vesti. C’est la livrée des amoreux”. (4) 

Il colore diventa dunque un linguaggio simbolico, che arriva a declinare i colori con i sentimenti nella gamma che va dall’odio all’amore. Il colore è figlio della luce, che è energia, ma anche calore: calore-colore. 

Esistono colori più caldi e altri tiepidi, alcuni prorompenti, altri più discreti.
Il rapporto tra colore e caratteristiche della personalità è stato ampiamente indagato da Max Luscher che ha introdotto il Test del colore. La sua ipotesi è di una diretta corrispondenza tra scelta del colore e personalità. ciò presuppone che i colori abbiano un significato biologico e manchino di quella singolarità che invece altri studiosi sostengono. Luscher ritiene che il colore si leghi all’inconscio e quindi che la scelta o il rifiuto non siano dominati dalla coscienza e manchino di un significato esperienziale. In tali ipotesi perderebbe di significato l’educazione al gusto estetico, alla combinazione di colori, all’accostamento che non avrebbero nulla a che fare con la moda, bensì con la struttura di personalità e persino con le sue anomalie e conflitti. I quattro colori ritenuti principali (strutturali) sono: il rosso, il giallo, il verde e il blu. Vi sarebbero poi quattro colori ausiliari dati dal viola, marrone, grigio e dalla mancanza totale di colore cioè il nero. 

Si tratta di un test proiettivo di personalità introdotto nel 1949. Così scrive Luscher: “ogni colore ha un significato preciso e universale, un significato obiettivo: la percezione, esattamente la stessa per tutti e per tutte le culture”. (5) 

Il test si articola non solo nella scelta di un colore ma anche sui rifiuti.
Pur convinto della importanza della percezione del colore, credo che la cultura incida fortemente sulla scelta o sui rifiuti e che voler caricare di significato universale i colori, e soprattutto farne un insieme di elementi “anatomici” della personalità, sia eccessivo. Sono convinto che il gusto per i colori, sia variato nel tempo dentro di me: oggi il mio colore preferito è il blu, quello del rifiuto è il nero (anche se è la mancanza di ogni colore), come seconda scelta c’è il rosso e per rifiuto il viola. 

I colori della follia.

Vincent van Gogh muore nel 1890 a 37 anni, mentre è internato in manicomio. Negli anni Trenta del Novecento si apre un dibattito sulla malattia di mente di cui egli era affetto, e le ipotesi si stabilizzano su due categorie cliniche molto divergenti tra loro: schizofrenia (termine entrato nel 1911) e epilessia (nota fin dai tempi dei greci, ne parla Ippocrate). A sostenete il quadro epilettico è in particolare madame F. Minkowska, la moglie di Eugène Minkowski uno dei grandi fenomenologi psichiatri. Sosteneva la diagnosi epilettica sulla base dell’uso del colore, del giallo in particolare, che sarebbe stato patognomonico, come risultava dall’uso di questo colore, colore dominante, in moti malati epilettici (6). Naturalmente vi venivano subito associati anche comportamenti che sarebbero stati tipici della personalità epilettica (secondo le convinzioni storiche, oggi non più sostenibili). 

In particolare l’impulsività che avrebbe portato Van Gogh al taglio del proprio orecchio.
È questo un esempio classico della importanza che si era data al colore dentro la “maniera pittorica” epilettica. 

Quando mi sono occupato del linguaggio grafico e pittorico nelle malattie di mente, aveva seguito con attenzione alcuni schizofrenici, ma non ho mai potuto trovare una dominanza di colore, se non transitoria e al contempo osservavo che vi era un uso differente nel tempo in rapporto anche all’evoluzione della capacità pittorica e dell’esperienza. Ho seguito in particolare Carlo Zinelli uno schizofrenico che ha dipinto nell’atelier per vent’anni. “Si è studiato attentamente in Carlo anche l’uso del colore, per vedere se si poteva trovare qualche elemento predominante che potesse fornirci dati sulla sua personalità e quindi sulla sua opera. Ma ci siamo accorti che non si possono formulare schemi se non a svantaggio della complessa realtà. Ciò che senza dubbio è stato constatato è il predominio che un qualche colore acquista in certi periodi: per cui serie di lavori si presentano con un colore dominante se non unico. C’è stato il momento del verde, dell’azzurro e, soprattutto importante quello del nero. Il colore in Carlo Zinelli è sempre puro; raramente egli fa mescolanze per ottenere effetti nuovi…Molti studiosi (e anche noi abbiamo provato dei protocolli sui malati di mente) hanno portato utili contributi, ma non si sono trovati se non raramente dati paradigmatici, e questi stessi con così numerose eccezioni che sarebbe falsare un problema per affrettata risoluzione, voler affermare qualche cosa di sicuro… Gran parte delle opere, relativamente al colore, rimane perciò per noi enigmatica e ci propone un linguaggio non ancora decifrato. Oggi è impossibile rispondere o tentare di spiegare i gialli di Van Gogh e le “dominanze nere” di Carlo. È facile intessere discorsi suggestivi; bisogna però riconoscere che allora si abbandona il campo della ricerca rigorosa per fare dello psicologismo” (7). 

Scrivevo questo nel 1966 e dopo molti anni lo ritengo ancora una conclusione (per quanto provvisoria) corrispondente ai risultati ottenuti anche in seguito. In ogni modo per conoscere il percorso storico che ha caratterizzato le maniere pittoriche nella follia si può leggere il capitolo terzo del mio Linguaggio grafico della follia (8). 

Il colore nelle arti.

Senza il colore sarebbe impossibile ripercorrere il cammino dell’arte. La sua importanza è tale che nella contemporaneità si sono realizzate correnti in cui la pittura era solamente colore, come se fosse più importante di ciò che veniva colorato. 

Il percorso che dall’Impressionismo porta fino alla pittura astratta, vede la tela diventare progressivamente una pura tavolozza. Sarebbe difficile pensare a Vincent Van Gogh senza i suoi gialli, senza i girasoli, senza i campi di grano che il pittore vedeva dalle inferiate del manicomio di Arles. Sarebbe difficile pensare a Giovanni Bellini senza gli angeli rossi, senza il colore del manto della Madonna di un azzurro intenso e vibrante. In particolare va ricordata la ricerca attenta dei pittori fiamminghi sul colore. In alcuni casi è stato legato il nome di un grande pittore proprio alla scoperta di un colore: il rosso di Jan Van Eyck, per esempio. 

Famosa è la terra di Siena, colore ocra, e il blu di Prussia. Non si possono dimenticare le opere di Marc Rothko, che sono costituite da campi geometrici colorati, di grandi dimensioni, in cui l’osservatore sembra di diventare egli stesso colore, entrando dentro la tela.
Si tratta di una vera e propria ricerca di rapporti cromatici, infatti egli era sempre alla ricerca di pigmenti che permettessero nuovi accostamenti.
L’occhio umano vede il colore e rappresentandolo esprime un atteggiamento realistico: Il realismo è colorato. Così si è cominciato a fare le cronache in modo vero e dunque usando il colore.
In questo ambito si pone la fotografia che etimologicamente significa “disegnare con la luce” o “scrivere con la luce”, espressioni che bene rappresentano la funzione di una cronaca per immagini.
Noi vediamo le cose colorate e poi le raccontiamo, ma con la fotografia e possibile raccontarle direttamente con le immagini e dunque vedendo ciò che è successo anche se non eravamo presenti.
La fotografia passa dunque dal bianco e nero al colore.
La scoperta della fotografia è attribuita a Joseph Niciphore Niépce nel 1816. Il problema e di avere un mezzo sensibile alla luce, una lavagna su cui la luce può scrivere. Nel 1822 si usa il cloruro d’argento e Niépce assieme a Louis Daguerre porta alla scoperta del dagherrotipo.
Devono passare almeno 40 anni prima di giungere al colore e avviene esattamente nel 1861 ad opera di James Clerk Maxwell che lo otteneva usando tre lastre sensibilizzate e sovrapposte. Nel 1873 si giunge alla sensibilizzazione cromatica e dunque ad un’unica pellicola che lasciava tracce di colore (9).
Allo sviluppo della fotografia si sono agganciati i giornali e soprattutto le riviste che iniziano a pubblicare foto a colore a partire dal 1888. La prima foto a colori viene stampata su l’Illustration francese usando la tecnica di Maxwell. certo siamo lontani dall’effetto ottenuto dalla Rivista Life che nasce nel 1936 e che offre i primi grandi servizi a colori. In Italia segue Epoca che apre i battenti il 14 ottobre 1950 e già fa servizi a colori usando la quadricromia e dunque sovrapponendo nella stampa ben quattro lastre, ciascuna con uno dei quattro colori fondamentali.
Il colore attendeva di passare anche nei cinema. Bisogna distinguere due periodi tra quando le pellicole sono ancora in bianco e nero e venivano colorate, tra il 1905 e il 1912 e quando invece la pellicola era impressionata dal colore. 

Le prime colorazioni erano ottenute dalla sovrapposizione di tre pellicole, tra il 1932 e 35. In precedenza si erano usate due pellicole.
Era questo il cinema del technicolor: il suo primo strepitoso risultato lo si raggiunse con Via col vento di Victor Fleming. È solo nel 1935 che si stampano pellicole direttamente a colori e il primo esempio avviene con La Cucaracha e con Becky Sharp di Rouben Mamoulian (10). 

 

Un microarray di dNa. Centinaia di frammenti di dNa (sonde), ognuno corrispondente a un gene specifico, vengono depositati su una superficie. Un campione contenente i geni di un malato affetto da schizofrenia è marcato con un colore: ad esempio rosso. Un secondo campione, ottenuto da una persona sana è marcato in verde. entrambi i campioni vengono depositati sul microarray dove si legano permanentemente alle sonde di dNa. I geni espressi nei soggetti affetti da schizofrenia appariranno come dei punti rossi e quelli espressi nei soggetti sani come dei punti verdi. Se questi geni sono espressi allo stesso livello in entrambi i soggetti, il risultato sarà un punto giallo. I microarrays permettono di individuare con precisione le differenze nei livelli di espressione genica tra soggetti malati e sani.
Da Wikimedia Commons / Guillaume Paumier.

Il colore dei fiori.

Il colore caratterizza la natura e il mondo dei fiori è totalmente colorato. Basta vedere un prato fiorito a primavera per avere un’idea di come il colore diventa bellezza (11). Già spontaneamente il colore dei petali dei fiori muta, non solo in rapporto alle condizioni climatiche, ma anche nel ciclo di ciascun fiore, dal momento in cui sboccia fino a quando i petali si staccano, avendo compiuto la loro funzione nel processo riproduttivo. 

Oggi però la ricerca di nuove tonalità avviene attraverso la ibridazione e la manipolazione genetica, sia combinando specie di tinte differenti, sia modificando le caratteristiche genetiche di un fiore. Gli appassionati della coltivazione delle rose sono tra i ricercatori più insistenti nel voler ottenere variazioni anche minime del petalo di una rosa: ogni anno si celebra un confronto che porta a premiare la innovazione più originale e bella. Un altro campo di ricerca di nuove colorazioni è portata avanti dagli appassionati di orchidee. 

Se i petali di rosa hanno una colorazione uniforme, le orchidee possiedono accostamenti diversi e spesso a poids.
Il riferimento ai fiori pare richiamare il legame e la passione che l’uomo ha per il colore. 

Un gusto che sovente caratterizza una persona e rimanda a quel rapporto tra scelta del colore e personalità a cui già abbiamo fatto cenno. 

Il colore delle pietre.

Le pietre preziose sono caricate di mistero proprio in funzione del loro colore. “Il dolce color d’oriental zaffiro” di Dante (12).
I significati delle pietre si perdono nel tempo e sono così diversi da legarsi ai miti, agli dei, e certo anche alle interpretazioni più strane e fantasiose. 

Da quando sono diventati oggetti di un mercato esclusivo, e dunque a valore economico, l’arricchimento di significato è aumentato proprio perché l’acquirente doveva avere la sensazione di comperare una pietra miracolosa o comunque capace di effetti che vanno oltre l’eleganza e il simbolo di uno condizione economica. E che le pietre abbiano avuto una dimensione regale lo dimostrano i dipinti di corte, delle varie corti reali europea in cui le regine, ma anche i re erano ampiamente e un po’ ampollosamente decorati di pietre preziose. 

Spille, bracciali, collier, anelli con pietre, fermagli, diademi, orecchini pendenti, pendagli, farfalle, tiare, parure… una serie infinita di usi che mostra la grande importanza acquisita della decorazione con le pietre, legata in gran parte al loro atteso effetto magico. 

A questo uso occorre aggiungere anche quello da parte dei principi della chiesa, dai vescovi, dai cardinali e fino al sommo pontefice il che vi attribuisce un effetto divino (13).
George Frederick Kunz ha scritto un fondamentale saggio sulle tradizioni delle pietre ed era contemporaneamente il gemmologo più famoso al suo tempo e il consulente stabile della casa Tiffany di New York (14). Ne vengono qui riportate alcune sinteticamente (15) e noi vi abbiamo estratto qualche significato specifico, per mostrare cosa significa donare una pietra caricandola di significati magici ancora oggi. 

Agata, protegge dagli incubi notturni e serve a bilanciare le energie vitali.
Ametista, è la pietra della saggezza, porta calma e lucidità di pensiero. È terapeutica dalle dipendenze alcoliche e alimentari.

Apatite, vince la tristezza, dà forza nel vincere le malattie infettive. È anche la pietra delle comunicazioni.

Acquamarina, vince l’ansia, protegge dal mal di mare e dà coraggio. 

Topazio blu, è la pietra degli intellettuali e favorisce la creatività e dunque l’attività del pensiero.
Diamante, protegge dai veleni e amplia le capacità della mente. 

Smeraldo, favorisce la fertilità, cura la depressione, e regala pazienza e sogni tranquilli.
Giada, la pietra della serenità, favorisce raccolti abbondanti.

Lapislazzuli, rasserena i conflitti di coppia e relazionali in genere. È la pietra della presa di coscienza e dunque della comprensione. 

Opale, fa sognare e si associa all’amore, alla passione.

Rubino, protegge dalla sfortuna, simbolo di amicizia e di fedeltà.
Zaffiro, aiuta a raggiungere la pace e la felicità, aiuta l’atteggiamento religioso, la disposizione alla preghiera, e a predire il futuro.
Turchese, porta denaro, successo e amore.

 

Carrie Mae Weems, Moody Blue Girl, 1988.

Il colore come metafora.

Il colore è uscito dalla rigida sfera della visione e ha acquistato per estensione e per somiglianza significati molto diversi.
La versione che più mi ha colpito è quella del “colore musicale”, talmente importante da essere ormai classico il rapporto tra colori e suoni. 

Nel XVI secolo che vede il grande sviluppo della musica organistica “colorire” significava “fiorire” o “diminuire”. Si parla di notula rubra, notula alba, notula dealbata . E ancora di nota negra e denigrata. 

Ma al di là della connotazione semantica, come i colori sono stati relazionati ai sentimenti, così si è fatto anche per le note musicali. Se il verde si associa alla speranza e il blu alla fedeltà, in una sinfonia tutto ciò che è in la Bemolle richiama al romanticismo, il si minore è segno di misantropia, ogni accordo di settima diminuita dà disperazione, e il sol maggiore rende la giocondità. Il minore è la chiave per la drammaticità, il maggiore in genere per la serenità e la gioia. Il colore lo si può usare anche per le caratteristiche del timbro di un suono (16). 

Sparla anche del colore degli strumenti, il colore dell’oboe distinto da quello del clarinetto, e si sa che di quest’ultimo strumento il colore varia molto a secondo del materiale di cui è costruito. Il legno vi attribuisce un colore davvero speciale. Di colore si parla anche a proposito della voce dei tenori o dei soprani e dei cantanti in generale.
Alcuni compositori hanno proprio indicato il colore della loro musica. Aleksandr Scriabin nel suo Prometeo prevede l’uso di una macchina che distribuisce colori sul pubblico mentre si svolgono i brani musicali. Arnold Schomberg (Die gluckliche Hand) e Bela Bartok (Bluebeard’s Castle) richiedono nella loro rappresentazione la combinazione del colore integrato all’azione musicale. Olivier Messiaen sovente ha indicato i colori che egli associa e che gli vengono in mente mentre crea le proprie composizioni musicali: il più importante è il colore blu e i riferimenti più frequenti sono il mare, il cielo, e le piume degli uccelli. 

Nei casi di sinestesia, un disturbo in cui si confondono i suoni e la percezione visiva si assiste ad una combinazione di suoni e colore (17).
Un’altra area in cui il colore viene ampiamente usato è quello della salute: colore e salute. In particolare è al colorito del volto che si pone attenzione. Quando è roseo-rosso ha il senso di un viso che sprizza salute, quando è pallido è un segno di diminuita vitalità e persino di perdita delle forze e della coscienza, nello svenimento. Nella ripresa si dice “ ha riacquistato colore”. Ci sono poi dei colori del viso che sanno di patologia e che orientano alla diagnosi: il giallo è segno dell’ittero, il colore nero richiama la peste (peste nera). Le malattie esantematiche dell’infanzia hanno propri colori e sovente la denominazione diagnostica si rifà al colore. La rosolia richiama petecchia rosa-rosse. 

Il colore è anche legato alla giovinezza, mentre si spegne nella vecchiaia. Giacomo Leopardi scrive ne Il tramonto della luna (1836) “Ma la vita mortal, poiché la bella/ giovinezza sparì, non si colora/ d’altra luce giammai, né d’altra aurora”. 

Nella estensione metaforica del colore una particolare importanza ha acquistato il riferimento alle bandiere delle nazioni, ai vessilli portati nei campi di battaglia. “Bandiera rossa” è il colore della bandiera e anche il titolo di un canto che hanno caratterizzato non solo il partito comunista italiano, ma l’internazionale comunista. D’altra parte “bianco fiore” è stata la canzone della democrazia cristiana. E così, sempre per restare al clima della storia italiana recente, “camicia nera” è stato il simbolo del fascismo. L’espressione “è rosso” significava proprio dare ad un uomo una identificazione di tipo politico. Sono numerosi i morti per il colore: gli eroi del tricolore: del bianco – rosso – verde. 

Giovanni Berchet in All’armi all’armi del 1831 scrive “sui limiti schiusi,/sui troni distrutti,/ piantiamo i comuni tre nostri colori/Il verde la speme tant’anni taciuta,/il rosso la gioia d’averla compiuta,/ il bianco la fede fraterna d’amor”.
E vedo in lontananza le bandiere nere dei pirati con il teschio che allude alla morte. Il nero del Terzo Reich. Ricordo anche la poesia che Arnaldo Fusinato ha scritto nell’agosto del 1849 in L’ultima ora di Venezia. “Il morbo infuria,/ il pan ci manca,/ sul ponte sventola / bandiera bianca.”
Il bianco simbolo della resa, il segnale della sottomissione. Il bianco anche come simbolo della follia, come metafora della malattia.
Il bianco con cui si dipingevano le pareti delle case degli appestati, il bianco delle vergini.
Il nero delle gondole in ricordo della peste di Venezia del 1630. I preti vestiti di nero con 33 bottoni in ricordo degli anni in cui Cristo è stato crocifisso. Il buco nero in cui collasserà l’universo. La malinconia dominio dell’umore nero ippocratico. Il lupo nero, l’uomo nero, la pecora nera, l’essere nero come il demonio. L’espressione “sono di un umore nero”.
Per i comportamenti si ricorda la categoria di quelle persone che ne fanno “di tutti i colori”.
Il colore è la metafora dei confronti calcistici e del tifo che scatenano. Le squadre hanno sempre un colore e si riconoscono proprio dal colore. I viola della fiorentina, i bianco-neri della Juventus, il rosso e nero del Milan, il giallo-blu del Hellas Verona … alcuni sociologi sostengono che esiste una relazione tra condizioni economiche di un certo periodo storico e i colori usati nell’abbigliamento e nell’arredamento. Assicurano che nei momento di crisi, di particolare gravità come quello attuale, vi sarebbe un ritorno al grigio per gli abiti maschili, al bianco per quelli femminili. Se questa relazione fosse provata ci sarebbe una dominanza nei gradimento dei colori scelti dalle classi sociali. 

Una riflessione finale.

L’idea di scrivere un saggio sul colore mi è nata all’inizio degli anni Sessanta, quando ho cominciato a seguire l’atelier di pittura all’interno del manicomio del San Giacomo della Tomba a Verona. 

Ero allora affascinato dalla ipotesi di un diverso uso del colore nei folli, in particolare nella schizofrenia e nella malinconia, rispetto alle persone considerate sane di mente. 

In quegli anni si sosteneva addirittura che gli schizofrenici percepissero il mondo in bianco e nero. E inoltre si parlava dello stilwandel, cioè del cambiamento di stile e dell’uso del colore in pittori che si erano ammalati nella mente. 

In quest’ultimo caso era dunque possibile fare un confronto delle produzione nei due diversi periodi : malattia e sanità mentale. Questo progetto di scrittura non sono mai riuscito a realizzarlo, proprio per la grande complessità e per la difficoltà dell’argomento. Inoltre per la ridda di significati che al termine colore si dava. 

Nello scrivere queste note mi sono accorto di quanto sia ancora lontano da uno schema di trattazione. Ho ritrovato il limite di chi si vede davanti a tanti frammenti, enormemente interessanti, che tuttavia non riesce a combinare alla maniera di un puzzle. Anche questo breve articolo mi pare dimostri un serio problema schizofrenico, dal momento che ha richiamato tanti “particolari”, e ne avrebbe potuto contenere molti altri, ma senza poter nemmeno tracciare una sbiadita sinopia che possa permettere di giungere a comporre una pala d’altare. A proposito mi sono dimenticato di aggiungere che il colore veniva precisamente indicato dai committenti delle varie opere d’altare. Come se esistessero i colori della fede. 


(1) Genesi,1,3.
(2) M. Brusatin, Colore, in Enciclopedia Einaudi, vol. III, Torino Einaudi, 1978.
(3) F. Bevilacqua, M.G. Ianniello. L’ottica dalle origini all’inizio del ‘700. Torino, Loescher, 1982.
(4) J.Huizinga, Autunno del Medioevo, Firenze, Sansoni, 1974, pag. 382, 381.
(5) M. Luscher, Il test rapido dei colori Luscher. Red Edizioni, 2005.
(6) Vittorino Andreoli, Il linguaggio grafico della follia. Bur-Rizzoli, Milano, 2009, pag. 86.
(7) Ibidem, pag. 387-388.
(8) Ibidem, cap. III, pag. 69-122.
(9) Autori Vari, Il mondo della fotografia, Alberto Peruzzo editore, vol. I, 1980.
(10) Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano. Editori Riuniti, Roma, 1993.
(11) Non esistono in natura fiori neri.
(12) Dante, Purgatorio, I,13.
(13) Scuderie del Quirinale, Diamanti: arte, storia, scienza. De Luca editore, Roma 2002.
(14) George Frederick Kunz, Curiose tradizioni sulle pietre preziose. 1913.
(15) Prese da www.gemselect.com
(16) Vedi voce “colori e suoni” in A.Della Corte, G.M. Gatti, Dizionario di musica Paravia, Torino,1956.
(17) Vedi la voce “colour ” in Paul Griffiths, New Penguin Dictionary of music, Penguin books, London, 2004.

(Tratto da/from: NB. I linguaggi della comunicazione, Over the rainbow, N.2, Anno IV, Logo Fausto Lupetti Editore, Milano 2012.)